Franco Rognoni

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Luisa Magnani

L’EPIFANIA DEL FEMMININO


Je t’adore à l’égal de la voute nocturne,
O vase de tristesse, o grande taciturne,
 Et t’aime d’autant plus, belle, que tu me fuis,
 Et que tu me parais, ornement de mes nuits,
 Plus ironiquement accomuler les lieues
Qui séparent mes bras des immensités bleues 


                                                                  (Baudelaire)

La donna di Rognoni è un’erma bifronte: egli usa due tratti diversi per la rappresentazione della donna, a seconda della sua collocazione nello spazio interno o in quello esterno. La donna dell’interieur è la depositaria del numinoso, apparizione visionariamente evocata:
“Charme profond, magique, dont nousgrise \ Dans le present le passè restaurè”
 Qui il corpo femminile viene disegnato con eleganza, morbidezza, flessuosità, ed è pervaso da un sottile reticente erotismo. Una nudità ambigua che si rivela e si nasconde, fragile e inaccessibile, mollemente indolente, ma forse impenetrabile, idoleggiata come oggetto del desiderio, capace di carezze” qui fait revivre les morts”, eppure colta sempre nella sua assorta solitudine, “Tes anches sont amoureuses \ De ton dos et de tes seins \ Et tu ravis les coussins \ Par tes poses langoureuses.” Investita dalla luce, questa creatura ha una centralità immediata per lo sguardo e i suoi colori si irraggiano nell’ambiente che si assimila a lei, si impregna della sua essenza, diviene una sua espansione, nominandola nelle vibrazioni e nelle luminescenze che variano una stessa tonalità (dal rosa acceso delle albe, all’azzurro madreperlaceo e evanescente delle notti di luna). Se, citando Kandinskij, si può dire che ogni colore, come le note musicali, determina particolari “risonanze” nell’anima, allora la Bella dell’interieur è la portatrice di tutti i colori della tavolozza, perché può far vibrare tutte le corde dell’immaginazione e del desiderio. I pochi segni che connotano questi interni vagamente accennanti a arredi demodè, fanno di questa immagine ossessivamente ricorrente, l”apparizione irripetibile di una lontananza”. Ma “l’essenzialmente lontano è inaccessibile; l’inaccessibilità è una qualità essenziale dell’immagine di culto”. Per citare Benjamin “la città si rivela al flaneur visionario ora come stanza, ora come paesaggio”. Il paesaggio cittadino di Rognoni è un fondale di case e strade e qualche raro albero che con la irrigidita geometria dei suoi rami si avvicina alla natura minerale. I procedimenti compositivi messi in atto nella rappresentazione della città sono quanto mai complessi e intriganti: c’è una pluralità di crocevie, un caleidoscopico intersecarsi di prospettive, un montaggio per sovraimpressioni; l’effetto è quello di frantumare il soggetto-donna in un gioco illusionistico di immagini, di situare il soggetto-uomo ora in primi piani, ora in una distanza Che lo rimpicciolisce come l’immagine osservata col cannocchiale arrovesciato. Grazie a questa tecnica della visione, piani temporali diversi Coesistono in un rapporto di simultaneità. Con una concentrazione ossessiva, la fantasia di Rognoni si accanisce intorno ad alcune figure e immagini tematiche portatrici di una forte densità emotiva e simbolica: l’incontro, (che ha il suo archetipo nella poesia “A une passante” di Baudelaire), il frantumarsi dei soggetto, esposto a improvvise rivelazioni dell’esperienza, in più momenti e strati (dai “Je est un autre” di Rimbaud fino all’ “Io discontinuo” di Joyce e di Proust). Su questi fondali, in cui le integrazioni cromatiche producono effetti di ailucinate magie, campeggia una figura femminile che ha perso la morbidezza di linee, caratteristica della sua simile colta nella lontananza dello spazio chiuso. Per la passante i tratti del disegno tendono alla deformazione secondo moduli espressionistici, che la assimilano all’uomo, di cui essa simboleggia la sete frustrata di eros. Essa è infatti proiezione dell’ambivalente vissuto maschile: attrazione-timore, irretimento-fuga. Le correnti emotive che attraversano queste scene rimandano all’isolamento interiore, a un mondo privo di relazioni, ad una situazione esistenziale di estraneazione tra i sessi. Il gioco di scomposizione e sdoppiamento dell’immagine femminile, i colori violenti che l’attraversano e l’accendono, ora il suo ergersi a mò di sfinge, ora l’iperbole della sua capigliatura insieme al disegno nervoso, risentito, incisivo, ne fanno un fantasma idoleggiato e ossessionante, oggetto che, convogliando tutte le possibili proiezioni dell’immaginario maschile, irretisce, attrae, intimidisce, sfugge, sgomenta, crea imbarazzo, esitazione e timore. Il flaneur, che si avventura in questo labirinto di fantasmi, in questo groviglio di sogni, è guidato dalle intermittenze casuali della sua anima, non ha un filo di Arianna che gli permetta di accedere come iniziato ai mistero dei femminino. Ma anche la donna coi suo volto tormentato, che sembra contraddire il suo splendido isolamento, sembra conoscere il vuoto interiore. Si può dire che a ogni crocevia di questo andare, al centro di tutte queste linee che si intersecano, intrecciano, sovrappongono, il Minotauro, che i Passanti incontrano, è la Solitudine, tormento e musa del flaneur. *
Luisa Magnani *
*Tratto dal saggio: “Il mondo di Rognoni” di Luisa Magnani; testo che illustra il mondo di Franco Rognoni mettendolo in rapporto con l’opera di Baudelaire, poeta fondativo della modernità.