Il temperamento di Rognoni si applica, oltretutto, in un contesto di sensibilità lombarda, nel quale anche le sfocature di « clima », gli impasti e le eleganze formali mantengono una consistenza particolare, una fisicità del quotidiano e dell’umile e, col tempo, una severità non priva di inquietudini. Come indica la stessa dialettica fra segno e materia. Il segno sempre più lineare e strutturante (ha ragione Guido Ballo quando a questo proposito cita Matisse) anche nei momenti di più impaziente frammentazione, fino a ridursi magari a traccia, a pura allusione di un oggetto; e la materia compatta, corposa, anche quando, colore purificato, giungerà a darsi, con raffinatezza, solo come luce diffusa. A partire dagli anni ‘60 il repertorio di Rognoni si arricchisce di commedie satiriche a protagonista femminile: La trama è demi-mondaine, le figure Sono da « preziose ridicole », il senso è l’irrisione borghese. Questa ritrattistica ha inizio con una Cantante francese (1961) ancora incerta fra impressionismo e patetica risoluzione alla lonesco, e si precisa con Hotel Simplon (1962), Signora di Ascona (1963) e Grand Hotel du Lac et Mayestic (1963). La citazione alberghiera è significativa. Il « clima » può ricordare, letterariamente, gli umori di Gadda. Il colore è lombardo, con abbandoni fra chiarismo e informale. Il segno, sempre impaziente, mai fragile, assume talvolta quasi una funzione strutturante, o di delimitazione, dell’immagine, ma è più spesso un traccia, un cenno, una lieve graffiatura nella materia luminosa del fondo sensibilizzato da larghe campiture di valore tonale. Quasi sempre a mezzo busto, tra fronzoli e rapidi accenni a luoghi da week end, le figure esibiscono atteggiamenti di vacua presunzione e schizzinosità di classe. In Piccolo abatjour (1963), dove una solitudine da squallida camera d’appuntamenti è piuttosto evidente, la carica di nevrosi accentua l’alterigia del personaggio più di quanto non lasci trasparire un’eventuale pietà. E’ da queste signore che si svilupperanno più tardi le controfigure maschili, giustamente più sinistre nella loro allusione a posizioni di potere. Ed è strano che la critica si sia soffermata poco (forse per la solita tradizione di sospetto nei confronti del « nonsense » e dell’humour» nelle arti) su un aspetto così insistito della pittura di Rognoni che si connette a una vena hogarthiana, Ecco la fila dei ritratti di famiglia, busti sbiaditi, tutti con l’aria notevolmente romana, notevolmente ognuno simile all’altro... Un passaggio inatteso, questo di Eliot, ma piuttosto pertinente, e perfino il fatto che riguardi le Difficulties of a Statesman non è da sottovalutare. E non importa, anzi sottolinea la qualità proiettiva delle immagini di Rognoni, la rinuncia a una meticolosa definizione dei particolari, che quasi « idealizzando » si appunta più al genere, dove si stabiliscono i caratteri comuni di somiglianza, che non alla specie, più al clan che all’individuo: « notevolmente ognuno simile all’altro ». E perfino genere nell’accezione di maniera, di stile. Qui rigoroso, funzionale. Che in questa fase della pittura di Rognoni non si vuoi dire che sia mutato, restando nella sostanza riconoscibilissimo pur dovendosi rilevare, in questa serie di ritratti che è la conseguenza di lontane prove, altri e giustificati apporti — così come giocano, nell’osservazione, lo spostamento deciso delle intenzioni, la loro precisazione e coerenza, la collocazione in diverse e comprovate zone del fare pittura secondo moduli ironico-descrittivi. < Avanti >
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