Il mondo di questo sensibile artista, portato alla critica del costume, non può essere, evidentemente, diverso da quello dei disegni: arlecchini, cantanti, giocolieri, paesani, maschere sono visti con fantasia inventiva liricamente scanzonata. A volte il segno filiforme di Rognoni si ritrova negli stessi dipinti: il cui colore vibra di più quando è meno insistito. Come premesse culturali, questo artista muove dall’espressionismo: Rouault ha influito sui primi suoi quadri, per l’accensione cromatica e l’intensità espressiva. Ma Rognoni non è mai violento: l’espressionismo in lui si attutisce, diventa ironia o evocazione, si carica di valori più allusivi. Ecco dunque il richiamo di Chagall, per i colori e per certi ritmi compositivi, ed anche di Klee, per la sottigliezza lineare e certe assonanze allusive. Si tratta però di stimoli culturali: il linguaggio di Rognoni ha una sua singolare originalità, inconfondibile. E nasce dalla satira, mai acida, di tutto un costume, di tutta una società: vista quasi in chiave di favola. E proprio nella favola entra anche la memoria di immagini trasformate con gioco arguto: scorci di città, un trenino, un paesaggio, una maschera oppure la figura di una donna. Ma all’origine di ogni favola c’è sempre la diretta esperienza umana, c’è la partecipazione dell’animo commosso dell’artista: a cui consigliamo di perseverare nella pittura, senza eccessivi timori autocritici.
(«Avanti!», 23 marzo 1954)
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