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Perché questo libriccino a cura di Stelio Carnevali
Ho la certezza che Chi, nell’attimo del concepimento, ha stabilito quanto tempo concedermi, non terrà conto dei giorni alati e liquidi che vivrò a Luino salendo dalla Bassa. Non ne terrà conto con più di un argomento a mia discolpa: per l’esiguo numero, (giorni che ad accozzarli tutti saranno sì e no una quarantina all’anno), perché il mio cedere al richiamo è macchia lieve, poi la mia è una pia tentazione, un pellegrinaggio (laico sì e no), una gioiosa espiazione e un ripetuto tornare verso persone, cose, memorie, affetti. Ed è così che ogni volta ridiscendo al piano arricchito da immeritata ricompensa. Quella di aver sfiorato il vivere che cerco.
Chi ha la fortuna di fermarsi qui alla Verbanetta, vivere in questa casa anche brevi ore tra avvolgenti devozioni domestiche avrà modo di liberarsi (o almeno desiderarlo) dalle tentazioni, dall’avidità e dalle molte tossine quotidiane; anche dal peccato di superbia, chi vuole.
Quattro amici, che tutti ringrazio, sono stati i pionieri; tre con la parola scritta: Federica, Alberto e Federico e il quarto, Livio, che racconta nascosto dietro la (bugiarda?) imparzialità della lente, sono gli autori di questa profanazione che mi auguro condonata.
L’occasione che origina questo libriccino è la bella mostra in corso a Palazzo Verbania dove ventotto opere mai esposte, scelte da Chiara Gatti, sono state liberate dalla rigidità della clausura e alla vista del lago, al contatto con l’acqua hanno ripreso il loro vigore.
Ma l’occasione porta anche a ritornare in questa casa dove sono raccolti oggetti apparentemente insignificanti: sassi con i marcati segni delle stratificazioni, conchiglie, minerali, fossili in genere ma fortissimamente uniti fra loro dalla sovrastante, severa presenza della linea che è come dire la presenza di Rognoni. Rognoni con tutto il suo rigore, la sua Pulizia (sic), che sono stati e sono memorabili doni per chi l’ha conosciuto.
Qui a Luino, non meno che a Milano, Rognoni ha battuto moneta, conio aureo generosamente ma che ancora, a vent’anni dalla morte, anche per via di perduranti disattenzioni (che sotto sotto lui sornionamente approva purché lo si lasci nell’ombra) risulta assai complicato collocarlo nella gerarchia dell’ufficialità.
E così, come lui ha voluto, libero, ha finito per far corrente con se stesso, o meglio, in compagnia della sua onestà, del suo ispirato talento che tra questi muri ininterrottamente vibrano.
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